Monday, June 05, 2006

Radio America

Da qui:
"Il racconto di ciò che accade dietro le quinte di uno dei più importanti show radiofonici andato in onda in America a partire dal 1974, che nel film viene improvvisamente cancellato. Va in onda l'ultima puntata, un "Last Waltz" che l'ottantunenne Bob Altman dirige con la fermezza del grande regista che è. Senza farsi mettere sotto da Garrison Keillor (conduttore nella realtà di un programma che ha nel mondo anglofono 35 milioni di ascoltatori) e con la voglia di mettere in scena un Nashville uguale e contrario. Contrario perché qui siamo nello spazio chiuso di uno studio di registrazione radiofonico con pubblico in sala. Uguale perché c'è la stessa voglia politica (nel senso più positivo del termine) di raccontare un pezzo di America che finisce con il rappresentarla tutta. Uguale perché c'è la straordinaria capacità di seguire un numero considerevole di personaggi senza perderne di vista uno e dando ad ognuno una sua consistenza. Uguale perché qui l'Angelo della Morte non colpisce alla fine e a sorpresa ma è una presenza (anche inevitabilmente autobiografica) che accompagna la narrazione. Uguale perché anche qui c'è un pubblico che non canta "It don't worry me" ma che "non deve preoccuparsi" qualsiasi cosa accada sulla scena. The American Show Must Go On. Qualsiasi cosa accada."

Qualche parere critico...
Lorenzo Buccella de L'Unità dice:
"Silenzio. parla Altman. Lo fa riversando, a un trentennio di distanza, cuore, mondo e musica di Nashville
negli spazi chiusi di un leggendario programma radiofonico, nato nel
1974, ancora vivo nella realtà, ma qui immaginato lungo la sua ultima
esibizione dopo lustri di onorato servizio. Così, la Berlinale targata
2006, dopo l’indolenza dei primi giorni quanto a slancio di nuove
proposte, non può che buttar dentro uno dei suoi gol più sicuri.
Difficile sbagliare. del resto, quando si riesce a far giocare nella
squadra del concorso un numero dieci come Robert Altman che fra qualche
settimana, all’età di 81 anni, finalmente riceverà l’omaggio di un
Oscar alla carriera. Ma per la statuetta c’è ancora tempo, visto che
l’immediato presente sembra conservarsi senza rughe. Come ben
testimonia questo Prairie home Companion, nuovo e malinconico
affresco di un Mid-west americano formato famiglia, pronto ad
aggrapparsi in massa a questo filo radiofonico pur dì ritagliarsi un
disimpegno fatto di schitarrate e intrattenimento. Solo che stavolta
l’occhio del regista si stringe e si moltiplica nella claustrofobia del
backstage del programma, registrato nelle sale di un teatro del
Minnesota. Ed è proprio là che, mettendo fuoricampo tutta la folla che
assiste, ascolta e si rispecchia, il film si fa slalom divagante ira i
personaggi del carrozzone che anima in presa diretta il varietà.
Davanti e dietro il microfono. Con tutti gli slanci emotivi, le empatie
e le miserie che si cuciono insieme nel dietro le quinte di uno show
ormai più che consolidato. Così, sotto il nostro sguardo intermittente
sfilano via a ondate e siparietti. Garrison Keillor, il conduttore del
programma originale (nel film, oltre che sceneggiatore, attore di se
stesso), assieme a una Meryl Streep splendida in versione cantante
manierata, al baffetto demodé di un Kevin Kline responsabile della
sicurezza che sembra sbucato lì dalla pagina di un romanzo hard-boiled.
E poi tutta quella schiera professionista di intrattenitori,
barzellettieri e cantanti dal cappello cow-boy che spaziano
dall’immancabile country su su fino al gospel e al jazz. Quasi a
inseguire spartiti flessibili da documentario, una vera marmellata
d’umanità, qui ritratta sul bagnasciuga dei suoi ultimi rituali, perché
nella figura di Tommy Lee Jones già incombe la nuova proprietà della
radio, intenzionata a tagliare i ponti con il passato. E cosi ne viene
fuori di tutto, tra schegge esistenziali che ricordano sorelle perdute
per strada, punture di humour tra un numero e l’altro, desideri
giovanili di suicidio, confessioni e rimproveri dell'ultima ora e
ancora battute che alla fine si permettono di scalzare il moralismo di
censure religiose. Segmenti rappresentativi di un microcosmo che
diventano la lente d'ingrandimento di un’America profonda in cerca di
una nuova ridefinizione. Incalzata da una modernità che s’intrufola
negli stacchetti pubblicitari degli sponsor (dai nastri adesivi al
latte solubile per biscotti), eccoci alle prese con la musica di un
mondo al confine, costretto al suo ultimo giro folk. Che, proprio come
in Nashville, il film-padre dì riferimento, fa confluire la sua
molteplicità nelle cornici di un ritratto sociale. Solo che stavolta,
quella che ci viene dipinta, è un’America più invecchiata, quasi
scollegata dai battiti dell’attualità. ma non del tutto pronta a
passare la mano. A maggior ragione se poi, in questo ambiente
spolverato dall’affetto che Altman riversa nei confronti
dell’amatissima radio, il panorama inizia a screziarsi di note funeree
sempre più invadenti. A portarle con il proprio corpo, una donna-angelo
(la Virginia Madsen di Sideways). algida nel suo impermeabile
bianco e nel suo boccolo biondo. E a testimonianza di un mondo che pare
costretto a rigirare su se stesso, proprio lei che ora si aggira
visibile-invisibile distribuendo i suoi tocchi dolcemente mortali
all’interno dello staff in precedenza era morta in un incidente
stradale mentre rideva per una gag ascoltata al Prairie Home Companion.
Invasione surreale che aggiunge un altro strumento ai tanti già usati
da quel signore di Kansas City che sa dirigere tutto dall’alto. pur
«nascondendosi» tra i suoi orchestrali."

Angelo Aldovino (un lettore) dice:
"Straordinariamente nuovo in ogni cosa e in ogni aspetto. Coraggioso e
sicuro. Due ore di crescente sorpresa, di tenerezza e allegria,
riappropriandosi del bello di una generazione in contrasto con le
aggressive vuotezze anoressiche e still life delle pubblicità che
precedono il film. America dolce e romantica, forte delle sue
semplicità disponibili per chiunque. Coralità rassicurante, la vita
insieme. Attori splendidi, l'arcinota Meryl Streep regina del
palcoscenico e l'irresistibile umorista Kevin Klein, e gli stupefacenti
sconosciuti veramente bravi, tutti. Audio perfetto e note deliziose.
Grazie Altman. Film memorabile."

Diego Guidi dice:
"A tratti divertente, generalmente pesante: un bel film se si è preparati a vederlo, altrimenti è duro da digerire..."

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1 comment:

Anonymous said...

Io, per fortuna, ero più o meno preparata... :-)